mercoledì 20 febbraio 2013

Sulla pelle viva: come si costruisce una catastrofe : il caso del Vajont

Sulla pelle viva: come si costruisce una catastrofe : il caso del Vajont Tina Merlin
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Pubblicato 1 gennaio 2001 da Cierre

Ho un ricordo di quando ero piccola, anno 1964, e si andava in vacanza in Cadore. Una distesa di fango da cui uscivano spuntoni, mozziconi di pali e di alberi, ruderi. Una specie di grigiastro girone infernale. Era Longarone, spazzata dall'immane ondata fuoriuscita dalla più bella e solida diga di tutti i tempi, quella del Vajont.
Se non che la diga era (è, perché è ancora lì) bella e solida, non altrettanto il Monte Toc tra i cui contrafforti la diga è costruita. E Toc vuol dire tocco, malato, perché la montagna è fatta di roccia marcia e franosa.
Tutti lo sapevano, ma coloro che vollero la diga fecero finta di nulla, mentirono orribilmente per nascondere l'evidenza.
Questa è la storia di quella orribile ondata, scritta dall'unica persona che ebbe il coraggio di investigare opponendosi ai baroni della diga, che non fu ascoltata, finì sotto processo, ed ebbe tragicamente ragione.


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