The Angels Die by Yasmina Khadra
My rating: 4 of 5 stars
Titolo originale Les anges meurent de nos blessures - 22 agosto 2013 da Julliard
Pubblicato in Italia col titolo Gli angeli muoiono delle nostre ferite - 30 aprile 2014 da Sellerio
Edizione americana 9 agosto 2016 da Gallic Books
Turambo. Non un nome, ma un soprannome. La storpiatura araba del nome francese del villaggio dove è nato, per non dimenticare da dove viene. Perché un bambino arabo, nell'Algeria dominata dai francesi, non ha altro modo per rivendicare le proprie radici. E Turambo, che sta per essere ghigliottinato, ci racconta la sua triste, ma epica storia, da ragazzino di strada a campione di pugilato, ma mai uomo, mai uomo vero, perché un arabo non è un uomo: è un cane, una scimmia, un oggetto. Tutti sono più importanti di lui. Lui riceve sul ring una gragnola di colpi, ma sono altri a godere delle sue vittorie e a disporre di lui, fino al punto in cui persino l'amicizia, l'unica amicizia di Turambo, scompare sepolta dall'egoismo e dagli affari. E così Turambo, che cerca solo di essere uomo tra gli uomini, e che ritiene il pugilato solo un modo per guadagnarsi la vita, dopo che insieme all'amicizia gli è stato tolto l'amore della sua vita, scenderà in quello stesso inferno dove i pregiudizi avrebbero voluto farlo scendere fin dall'inizio della sua vita.
Il libro è bellissimo, e come sempre la scrittura di Yasmina Khadra, nella pregevole traduzione americana di Howard Curtis, è affascinante. Raccontandoci la storia di Turambo ci fa fare un viaggio indimenticabile nell'inferno del razzismo e del colonialismo, ricordandoci allo stesso tempo che coloro che oggi vorremmo stessero a casa loro sono gli stessi che noi abbiamo privato di una casa, e che pretendiamo che non tocchino le nostre donne perché noi abbiamo trattato le loro come prostitute. Solo la fine del libro non è convincente. Il vecchio Turambo, che una sorta di miracolo ha salvato dalla ghigliottina, diventa un introverso moralista che, come molti vecchi sopravvissuti a loro stessi, non ha più niente di davvero convincente da dirci.
Turambo. Not a name, but a nickname. The Arab mispronunciation of the French name of the village where he was born, not to forget where he comes from. Because an Arab child, in Algeria dominated by the French, has no other way to reclaim his roots. And Turambo, about to be guillotined, tells his sad but epic story, from street kid to a boxing champion, but never a human being, never a real human being, because an Arab is not a human being, he is a dog, a monkey, an object. All are more important than him. He gets in the ring a hail of blows, but others enjoy his victories and command him, to the point where even the friendship, the only Turambo's friendship, disappears buried in selfishness and business. And so Turambo, who just tries to be a man among men, and believes boxing is just a way to earn a living, after that together friendship has been taken away the love of his life, will fall in the same hell where prejudices wanted to get him down from the beginning of his life.
The book is beautiful, and as always Yasmina Khadra's writing, in the remarkable American translation by Howard Curtis, is fascinating. Telling the story of Turambo makes us take an unforgettable journey into the hell of racism and colonialism, reminding us at the same time that those who today we would like they were at their own home are the same that we have deprived of home, and that we claim that they do not touch our women because we have handled their as whores. Only the end of the book is not convincing. The old Turambo, that a miracle has saved from the guillotine, becomes an introvert moralist who, like many older who have survived themselves, no longer has anything really compelling to say.
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